Giovedì 11 giugno (una mattinata di fermento)
Sono già cinque ore che Alfredino è prigioniero in quel pozzo. La razionale mente di una persona può già immaginare quali sofferenze sta passando un bambio di sei anni dopo una simile esperienza. Si pensi solamente che esse sono minime, in confronto a quelle che si protrarranno per tre lunghe ed infinite giornate di agonia.
C'è già grande confusione, anche se i soccorritori sono ancora relativamente pochi, rispetto a quello che si vedrà alcune ore dopo.
Il caporeparto dei vigili del fuoco, chiamati ufficialmente "a parrtecipare alle ricerche di un bambino che si è smarrito", entra subito in contatto con il piccolo, il quale riesce ad informarlo addirittura sulle sue condizioni:
Sono sospeso e fermo nel vuoto, dice lo stesso Alfredo Rampi. Nonostante la repentina chiamata di rinforzi dalla centrale di Roma, si avverte subito che anche i pompieri che sopraggiungono, nonostante la referenziata esperienza nel campo dei salvataggi in ogni situazione etrema, paiono non essere all'altezza. Ogni mossa potrebbe rivelarsi un errore e rischiare di complicare le cose.
Si noti che il pozzo, profondo ben ottanta metri, in una stagione di siccità come lo è quella in cui si svolge la tragedia, è completamente vuoto d'acqua (che, normalmente, dovrebbe risalire in superficie, direttamente dalla falda acquifera che giace in fondo, per capillarità), ed è largo appena trenta centimetri. Misure che scoraggiano fin da subito ogni possbile intervento umano, ogni minima indagine, sondaggio delle conformazione stessa del budello in cui malauguratamente è caduto Alfredo Rampi. Insomma, detto brevemente: nessuno è in grado di capire effettivamente a che profondità si trovi il bambino, in che posizione sia, nessuno ha la possibilità di individuarlo. Ciò che a tutti gli effetti giunge ai soccorritori è la flebile voce di Alfredino, deformata dai diversi metri di profondità che, evidentemente, lo separano dalla superficie.
Ai sentimenti di entusiasmo per averlo quanto meno localizzato, seguono immediatamente sconforto e panico per la manifesta incapacità di venire a capo di una situazione che si sta facendo incandescente. Questo altalenarsi di sentimenti contrastanti, sarà una costante, un caratteristica peculiare di tutta questa vicenda. E colpirà non solo i diretti interessati, ma anche i milioni di italiani che seguiranno la tragedia in diretta, sentendosi impotenti di fronte ad una situazione in cui parrebbe mancare un colpevole, ma in cui l'intero genere umano sembrerebbe essere messo di fronte ai suoi limiti.
Calata una torcia per esplorare il cunicolo, i vigili del fuoco si rendono conto che la visibilità è comunque scarsissima. Ma capiscono subito che il pozzo non scende in maniera regolare, bensì presenta spuntoni, sporgenze e dopo alcuni metri intraprende una via non verticale, ma distorta e quasi obliqua, cambiando il corso della sua discesa. Ciò, ovviamente, non fa altro che complicare le cose.
In questo momento sono presenti anche i genitori di Alfredino. Cercheranno di confortarlo, gridando dall'imboccatura del pozzo:
Sta' calmo, adeso veniamo a prenderti. Quante volte il povero Alfredino si sentirà raccontare simili benevole menzogne, nei continui rimandi di un salvataggio che non avverrà mai.
Ai costanti incitamenti, inviti a parlare, da parte dei geniori o dei soccorritori, Alfredino spesso risponde con grida disperate, che non fanno altro che aumentare l'angoscia di tutti coloro che si trovano nei paraggi. In realtà il bambino è ancora nel pieno della sua forza fisica e della sua resistenza, risulterà reattivo, ancora incredibilmente vivace.
Il primo rudimentale tentativo di salvataggio consiste nel calare una corda di canapa, farla giungere fino al bambino, farlo aggrappare e tirarlo su. Ma il tentativo ovviamente fallisce, dal momento che i vigili del fuoco non sanno che Alfredino è incastrato, oltre che con il corpo, anche con le braccia.
Alle due di notte la prima notizia ANSA sull'accaduto comincia ad esere battuta, per prendere poi la strada che tutti conosciamo. In verità, l'accanimento mediatico che susciterà scalpore anche anni ed anni dopo, ha tratto le sue origini anche dal ruolo primario che hanno svolto le prime, embrionali Tv private. All'epoca, queste non sono altro che un ricettacolo di maghi, venditori di tappeti o di gioielli (per lo più falsi), astrologi e quant'altro. Come ci ricorda anche Massimo Gamba nel suo libro, il fenomeno di Wanna Marchi comincia proprio in questi anni.
All'Una di notte circa, in alcune di queste Tv private comincia a circolare una scritta in sovraimpressione:
Si cerca una gru per tirare fuori un bambino caduto in un pozzo. Si prega di telefonare al numero.....
I telespettatori nottambuli, ammaliati dal mercato del sesso via telefono che si tiene in quei veri e propri suq moderni, all'italiana, che servono a domicilio i tubi catodici di milioni di italiani, assistono a questa scarna ed insolita richiesta d'aiuito. Fra di loro c'è anche Pierluigi Pini, giornalista Rai, a cui, citando Gamba, non manca certamente il fiuto per la notizia. Così decide di telefonare, spacciandosi per il prprpietario di una gru, facendosi così dire dove si trovi il pozzo. Immediatamente, quindi, contatta Vitaliano Natalucci, che egli descrive come un abilissimo operatore, e gli chiede di raggiungerlo subito a Vermicino.
E nel mentre Pini è in viaggio per Vermicino, Giancarlo Santalamassi, direttore del Tg2, apprende la notizia allo stesso modo in cui, poco prima, ne è venuto a conoscenza il suo collega.
D'ora in avanti il ruolo della stampa sarà sempe più di primo piano in questa sciagurata vicenda.
Intorno alle
2.00 di notte il clima a Vermicino è sempre frenetico, così, comincia a ventilarsi l'ipotesi di dover ricorrere ad un nano, o comunque ad una persona dalla corporatura ridotta, per soccorrere il piccolo Alfredo. Nel mentre una volante della polizia si incammina a perlustrare tutti i circhi della zona alla ricerca di un identikit simile, qualcuno si prende la briga di contattare Roberto Caporale, ventunenne qualificato, secondo l'agente che gli ha telefonato, grazie ad una sua precedente esperienza in un pozzo vicino a Rieti.
Quando quest'ultimo giunge a Vermicino accompagnato da suo padre, i soccorritori sono già all'opera per progettare un'altra tattica di salvataggio, che purtroppo, una volta messa in atto, si rivelerà il più grande errore mai commesso in quei tre giorni maledetti. Si sta infatti valutando di calare una tavoletta di legno, legata ad una corda, alla quale far aggrappare meglio il bambino, o sulla quale farlo sedere, per poi tirarlo su.
Di fatto tutte queste idee e questi progetti spesso nati morti, si accavalleranno l'un l'altro, complice anche la fretta data dall'emergenza, ed impediranno a Roberto Caporale di scendere nel pozzo.
Ma un aspetto non secondario di tutta questa storia è dato dal microfono: da diverse ore Alfredino parla con i suoi soccorritori, ma la sua voce giunge loro deformata, quando non flebile, fioca, afona, creando non poche difficoltà di comprensione. Ma se le sue grida provocano angoscia, i suoi silenzi generano panico assoluto, dal momento che potrebbero singificare che Alfredino è deceduto.
Così si pensa di chiedere alla Rai un microfono da calare nel pozzo, allo scopo di sentire meglio la voce del piccolo e di monitorare la sua respirazione o il suo battito cardiaco. Dal momento che lo stesso Roberto Caporale si dice essere un esperto perito elettrotecnico, capace di allestire un simile congegno in poco tempo, gli si dà fiducia e gli si chiede di recarsi presso gli uffici della ditta per cui lavora, di cui ha le chiavi, a prelevare il materiale necessario.
Il suo ruolo, quindi sarà primario, perché almeno questa operazione andrà a buon fine.
Ma a testimonianza dell'atroce e beffarda sfortuna che si abbatte in questi giorni su Vermicino e su tutti i suoi protagonisti, il povero Caporale verrà licenziato il giorno dopo dai suoi principali, per aver sottratto in piena notte materiali dall'ufficio della ditta per cui lavora, senza autorizzazione.
In realtà, ad onor del vero, questa spiacevole situazione durerà poche ore e si rivelerà esser stata frutto di un malinteso. Quando infatti i suoi capi comprenderanno i motivi che hanno spinto Roberto a compiere quel gesto, lo riassumeranno con tanto di scuse.
Alle ore
3.00 Pierluigi Pini giunge a Vermicino, insieme al suo operatore, Vitalino Natalucci. Oltre a girare le primissime immagini di questa tragedia, i due caleranno anche il microfono del nagra (registratore) nel pozzo e porteranno la voce di Alfredino all'edizione delle 13.00 del Tg2. Sono le prime strazianti "melodie", la colonna sonora di quei tre giorni maledetti, che giungeranno alle orecchie dimilioni di italiani, senza poter essere facilmente scordate.
Sempre intorno alle
3.00 squilla anche il telefono dello speleologo (il primo, di una lunga serie) Maurizio Monteleone. Gli viene richiesto di partecipare ai soccorsi. Egli accetta.
Nel mentre accade tutto questo, i pompieri provenienti dala sede di Via Genova - capitanati da Elveno Pastorelli, uomo di grande virtù, nel suo mestiere, protagonista in positivo nei soccorsi, dello stesso anno, del terremoto in Irpinia e dell'alluvione, negli anni Settanta, di Firenze - sono intenti a mettere in atto il piano della tavoletta. Ignorano che Alfredino è incastrato anche per le braccia. Questa lacuna nelle valutazioni, si rivelerà essere la principale falla a provocare l'affondamento di tutto il macchinario (di cervelli, braccia, vite umane) messo in moto per salvare il povero Alfredo Rampi. Buttata la tavoletta, a causa di quelle sporgenze di cui sappiamo il pozzo essere pieno, questa si incastra e va irrimediabilmente (senza possibiltà di rimozioni, che verranno invano tentate più volte anche in seguito) ad ostaclare in maniera determinante le successive operazioni di soccorso.
Ora fra Alfredino ed i suoi salvatori c'è una barriera, una tavoletta di legno che impedirà non poco ogni altro tentativo, di qualunque natura.
Fra le 3.00 e le 4.00 Roberto Caporale riesc ad ultimare l'allestimento di un impianto acustico, un microfono legato ad un filo da calare nel pozzo. Questo, fatto scendere, restituisce finalmente la voce del bambino forte e chiara. Ma da anche la possibilità, tramite il filo cui è legato, di misurare la profondità a cui è sprofondato Alfredino: risulterà trovarsi a 36 metri sotto terra.
Il microfono risulterà essere una trovata importante, come abiamo visto, per monitorare le condizioni del piccolo (salute, respiro, battito cardiaco), ma anche e soprattutto per mantenere con lui un contatto emotivo fondamentale: ciò che preoccuperò i medici che giungeranno sul posto, infatti, non sarà solamente un inevitabile declino delle condizioni fisiche, ma anche,e soprattutto, un crollo di quelle psichiche, che possono invero esere mantenute stabili grazie a fequenti contatti coi genitori o coi soccorritori.
Ma quel microfono sarà anche lo strumento che trasformerà le soffernzedi Alfredino in un mezzo mediatico per mantenere gli ascolti a vertici che non si erano mai raggiunti prima.
Verso le
4.00 comicnia a circolare l'ipotesi di poter scavare un pozzo parallelo a quello dove è situato Alfredino, per raggiungerlo tramite un cunicolo scavato orizzontalmente, possibilment sotto Alfredino, e trarlo così in salvo.
Operazione che si rivelerà tutt'altro che facile ma che, soprattuto, necessita dell'utilizzo di una trivella, macchina che, specialmente a quell'ora, sarà molto difficile riuscire a reperire senza problemi.
Alle
5.00 gli speleologi Maurizio Monteleone e Tullio Bernabei, entrambi fra i venti ed i venticinque anni, saranno i primi ad apprestarsi ad antrare nell'infero di Alfredino. Si preprano velocemente con le imbracature, i moschettoni e tuto il resto e, informatisi sulle condizioni del pozzo, cominciano l'operazione. Sarà Tuttlio Bernabei a calarsi, dando disposizioni agli uomini che manovrano la sua corda, fra cui c'è anche il suo amico Maurizio Monteleone.
Tuttlio ariveràmolto vicino ad Alfredino e riuscirà a confortarlo con la sua, seppur difficilmente captabile, presenza umana. Tullio apprende che la tavoletta è incastata, ma bisogna rimuoverla. Verrà ritirato su, completamente sporco di fango.
Proverà a calarsi anche Maurizio, ma i suoi tentativi risulteranno altrettanto vani.
Il reperimento di una trivella per scavare un pozzo parallelo, a questo punto, si rivela di importanza cruciale.
Alle
9.00, mentre la città di Roma si sveglia e viene a conoscenza, tramite le locandine ed i giornali, del dramma che si sta vivendo, gli operai della società Tecnopali si premurano di montarela trivella che la loro ditta ha gentilmente concesso in uso per i soccorsi a Vermicino.
Gli operai la montano in poco tempo e proprio per le 9.00 la macchina inizia a scavare. Dal momento che la terra in superficie è fiabile, la trivella scava diversi metri in poche ore e l'angoscia diventa entusiasmo.
Una gioia che presto viene raggelata dalle urla di Alfredino, che percepisce i rumori provocati dal "mostro meccanico" come un tormento, una serie di scosse e di vibrazioni, una vera tortura che non fa che peggiorare il suo indesiderato soggiorno nelle viscere della terra.
I genitori del piccolo continuano a confortarlo, parlandogli attraverso il megafono. Ma la risposta di Alfredino è schietta e suona come una vera richiesta d'aiuto:
Mamma...tirami fuori. Mi fa male un braccio e una gamba. Sono stanco.
Il comandante dei pompieri, Pastorelli, prende il megafono:
Alfredo, sono il comandante dei vigili del fuoco.ù
Il bimbo, dopo un attimo di esitazione, dice:
Ti conosco. Ti ho visto in televisione per il terremoto. Quanti uomini hai?Ho cento uomini e ti prometto che ti tiro fuori.Può bastare, questo scambio di battute, nella situazione in cui sappiamo trovarsi il piccolo Alfredo, a dimostrare la sua forza d'animo, la sua vivacità e la sua intelligenza? Alfredino si ripeterà in questo genere di esternazioni, spesso formulando frasi che stupiscono tutti i presenti per la dose di ingenuo spirito in ese contenute. Un ragione in più per commuoversi, per straziarsi, specialmente da parte di tutti coloro che assistono impotenti, davanti alla Tv, a questo orribile spettacolo, alla perdita minuto per minuto di una vita umana.
La trivella della Tecnopali procede velocemente, ma non può spingersi oltre i trenta metri: urge una nuova macchina, più grande, più potente.
I vigili del fuoco entrano così in contatto con la Geosonda, ditta che assicura i soccorritori di poter fornire loro un vero mostro meccanico, una macchina di sessanta tonnellate che può scavare fino a settanta metri di profondità. Per farla giungere, si sbancano vineti, si spianano strade, si bloccano strade, interi racordi autostradali. Il tutto accadrà, però, non prima delle 13.00. Nel frattepo, giunge a Vermicino l'ambulanza con sopra Evasio Fava,il primario del reparto di rianimazione dell'ospedale San Giovanni di Roma. Quest'ultimo parla con Alfredino e si accerta sulle sue condizioni di salute che, nonostante le quindici ore di prigionia, sono ancora buone.
Le operazioni di soccorso vengono ostacolate, a metà mattinata, anche da un black out generale ch si frappone fra Alfredino ed i suoi salvatori. Dimostrazione che stiamo parlando di un storia per cui la divina provvidenza sembra aver fatto di tutto perché si concludesse in modo tragico.
Mentre dalla sede Rai i seppur avvezzi addetti ai lavori rimangono basiti di fronte alle immagini girate da Pini e Natalucci, e mentre sempre dagloi studi della Tv nazionale viene inviata una troupe, dotata di una sola telecamera, la quale incredibilmente si rivelerà essere l'unico mezzo, l'unico tramite fra gli italiani e Vermicino, durante la diretta di diciotto ore che comincerà parecchio dopo......
mentre accade tuto questo, alle
11.00, ora in cui la trivella della Tecnopali ha scavato ben diciotto metri, Alfredino stupisce tutti e suscita ancora una volta un misto di commozione e tenerezza.
Prima si rivolge allo "Zio Ivo", che in realtà è solo un fidato amico di suo papà, dicendogli:
Ivo, scendi giù! Tu sei l'Uomo ragno!Poi, in seguito ad un'idea dello stesso Ivo Giannone (questo il suo nome per intero), reagisce con entusiasmo alla comparsa, nel budello di cui è rpgioniero, di un tubicino per l'ossigeno a cui è stata assicurata una lampadina, per prtare un p' di luce in quell'inferno dominato dalle tenebre:
E' tutto illuminato! Grida quasi felice Alfredino.
Poco dopo, se ne esce infine con questa frase:
Papà, devo fare pipì. Come faccio?Il padre, quasi sconcertato, gli dice di non preoccpuarsi e di farla lì.
E Alfredino domanda:
Addosso?Un altro siparietto in cui è messo in risalto il carattere vivace, incline all'umorismo, più spesso ingenuamente saggio del piccolo Alfredo, che suscita lacrime, commozione, vera simpatia. Un bambino così vispo ed intelligente fa rimpiangere ancora più amaramente, se è possibile, la sua scomparsa.
Continua....Già pubblicato sul mio
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